SARIRI

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Le Ande sono una catena montuosa maestosa, capace di ispirare meraviglia non solo per la loro altezza, ma anche per il loro profondo significato culturale. In Bolivia e in Perù queste montagne sono considerate sacre, e muoversi al loro interno richiede rispetto, pazienza e umiltà. Per il nostro gruppo — Mascht e Vali dall’Austria, Paul dalla Germania e io dalla Svizzera — l’obiettivo non è mai stato solo scendere con gli sci da pendii ripidi sopra i 6.000 metri. Volevamo capire il rapporto che le popolazioni locali hanno con le montagne e imparare da chi le considera casa.

Siamo arrivati a La Paz dieci giorni prima del nostro primo grande obiettivo, sentendo subito gli effetti dell’altitudine, a oltre 3.600 metri. La città vibrava di vita: venditori ambulanti, spezie, traffico e cani randagi che riposavano all’ombra. La fase di acclimatazione ci ha portati attraverso valli remote, passando davanti a miniere abbandonate e lama al pascolo, spingendoci gradualmente oltre i 5.000 metri. Solo allora ci siamo sentiti pronti a puntare più in alto, scegliendo come meta l’Huayna Potosí (6.088 m). Guidati da Sergio, abbiamo attraversato steppe di erba dorata prima di caricare gli sci e raggiungere il ghiacciaio. Nonostante l’aria rarefatta e il disagio fisico, la prima discesa riuscita ci ha riempiti di gioia pura — curve fluenti tracciate sulla neve d’alta quota.

Non tutti i piani sono andati come sperato. Il massiccio del Condoriri ci ha messo alla prova in modo diverso: pioggia intensa, malattia e ghiaccio duro ci hanno costretti a tornare indietro. È stato un promemoria che nelle Ande le condizioni e le decisioni contano più dell’ambizione. Il nostro obiettivo successivo, il Chachacomani (6.074 m), richiedeva un avvicinamento di tre giorni, con portatori e mulattieri che trasportavano carichi pesanti attraverso una valle d’alta quota spettacolare. Quando sono arrivate le tempeste, loro si sono riparati in capanne di paglia mentre noi ci rintanavamo nei nostri sacchi a pelo — un contrasto umiliante che ci è rimasto dentro.

All’alba abbiamo attraversato crepacci e pendii ghiacciati, raggiungendo infine la vetta. La ricompensa era smisurata: una vista che spaziava dalla foresta amazzonica all’Altiplano e al Lago Titicaca. La discesa ha seguito tre linee diverse, poi confermate come probabili prime discese.

In Perù il viaggio è proseguito da Huaraz verso il Nevado Pisco e infine il Tocllaraju (6.034 m). Terreno tecnico, neve instabile e ghiacciai complessi hanno richiesto massima concentrazione. L’ultima vetta e la discesa prudente — con calate in zone di seracchi — hanno segnato una conclusione perfetta per cinque settimane intense in Sud America.

Questo viaggio non è mai stato facile o confortevole. Siamo stati esposti, spesso esausti, e totalmente dipendenti gli uni dagli altri e dal supporto locale. Ma sono state proprio queste sfide — fisiche, mentali e umane — a dare valore all’esperienza. Nelle Ande, ogni curva è conquistata, e ogni linea racconta una storia più profonda.

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